Investire in dollari non è gratuito: il costo della copertura che pochi calcolano

  • Questa spesa può trasformare un investimento redditizio in uno che genera perdite

Molti investitori europei acquistano azioni dell’S&P 500, titoli del Tesoro statunitense o fondi globali denominati in euro, ma il sottostante è in dollari. Di conseguenza, l’andamento del biglietto verde rispetto alla valuta comunitaria potrebbe influire sulla redditività dell’operazione. Inoltre, spesso passa inosservato un fattore che può avere un impatto enorme sulla redditività: il costo della copertura valutaria. In un contesto di tassi di interesse divergenti tra l’eurozona e gli Stati Uniti, coprire o meno l’esposizione al dollaro può fare la differenza tra ottenere un rendimento positivo o subire una perdita, anche quando l’attività sottostante si comporta bene. Per chi investe sui mercati internazionali, l’esposizione ad altre valute fa parte del gioco. Ma comporta anche dei rischi, soprattutto quando queste ultime subiscono forti oscillazioni. La copertura valutaria consente di neutralizzare tali oscillazioni, garantendo che il guadagno o la perdita di un investimento dipenda solo dall’asset e non dall’andamento dell’euro rispetto al dollaro.

Che cos’è il costo di copertura?

Coprire la valuta non è gratuito. Per gli investitori al dettaglio, il modo più semplice per farlo è attraverso fondi che offrono classi in euro “coperte”. Ciò significa che il gestore utilizza derivati (come i contratti forward) per eliminare il rischio di cambio. Ma questa operazione ha un costo legato al differenziale di tasso di interesse tra le due valute.

Nel 2025, tale differenziale è elevato. Mentre la Federal Reserve mantiene i tassi intorno al 4,5%, la Banca Centrale Europea rimane a livelli molto più bassi, intorno al 2%. Ciò comporta un costo di copertura a tre mesi del 2,41%. In pratica, coprire il dollaro implica assumersi una penalizzazione annualizzata di circa tre punti percentuali. In altre parole, se un investimento in dollari offre un rendimento del 5%, con la valuta coperta il rendimento netto per un investitore europeo potrebbe ridursi al 2,6%, solo per effetto di tale copertura.

Quali sono le conseguenze per gli investitori europei?

L’effetto reale del costo di copertura e del tasso di cambio è chiaramente visibile nei dati dell’S&P 500. Da inizio anno, l’indice statunitense è salito dell’1,06% in valuta locale, un guadagno modesto ma positivo. Tuttavia, quando tale rendimento viene convertito in euro, il quadro cambia drasticamente: l’S&P 500 in euro è sceso del 7,97%.

La spiegazione sta nel tasso di cambio. Il dollaro ha iniziato l’anno a 1,0354 e ha chiuso maggio a 1,1370. Questo apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro ha eroso gran parte del rendimento, trasformando addirittura un guadagno in una perdita per gli investitori che non erano coperti. Ma se lo stesso investitore avesse optato per una classe coperta in euro, la storia sarebbe stata diversa: il rendimento dell’S&P 500 coperto sarebbe stato dello 0,32%, molto più in linea con l’andamento reale dell’indice.

Questo esempio evidenzia perché è così importante considerare il costo della copertura e il suo potenziale impatto. Non si tratta solo di una questione tecnica, ma di una decisione che può alterare profondamente i risultati di un investimento internazionale.

Coprirsi o non coprirsi? Questo è il dilemma

La decisione di coprire o meno la valuta non è universale. Dipende dal tipo di attività, dall’orizzonte di investimento e dalla tolleranza al rischio. Nel reddito fisso, dove i rendimenti sono generalmente bassi e stabili, l’effetto del tasso di cambio può essere sproporzionatamente elevato. Pertanto, nel caso delle obbligazioni, specialmente a breve termine, la copertura valutaria è quasi indispensabile se si vuole mantenere la logica di rendimento/rischio del prodotto.

Nel reddito variabile, invece, il dibattito è più aperto. Le azioni hanno una volatilità intrinseca più elevata e l’esposizione valutaria può essere addirittura vantaggiosa se la valuta estera si apprezza rispetto all’euro. Alcuni investitori preferiscono non coprirsi, partendo dal presupposto che le fluttuazioni valutarie si compenseranno nel lungo termine. Altri optano per una copertura parziale o utilizzano la valuta come fonte aggiuntiva di diversificazione.

L’importante è avere chiaro quale rischio si sta assumendo. Non coprirsi può giocare a favore o contro, ma farlo senza saperlo – o senza volerlo – può compromettere completamente una strategia di investimento.

In un contesto come quello attuale, con tassi di interesse disparati e movimenti significativi dei tassi di cambio, la copertura valutaria smette di essere uno strumento tecnico per diventare una leva fondamentale per il controllo del rischio.

L’investitore europeo che desidera avere un’esposizione internazionale deve prendere una decisione informata: preferisce assumersi il rischio di cambio, con i suoi potenziali vantaggi e svantaggi? Oppure preferisce eliminare questa fonte di incertezza, anche pagando il prezzo della copertura? Non esiste una risposta giusta per tutti, ma una certezza sì: ignorare il costo della copertura può costare più caro del mercato stesso.