I cani nell’antica Roma erano guardiani, compagni e simboli importanti nella vita dei romani. Tra le numerose immagini che ci hanno lasciato gli antichi romani, poche sono così evocative come quella che mostra la sagoma di un cane accompagnata dall’avvertimento “cave canem”, “attenzione al cane”. Questa semplice iscrizione, trovata ad esempio in alcuni mosaici delle case pompeiane, non solo avvertiva i visitatori della presenza di un animale da guardia nella casa, ma rifletteva anche l’importanza che i cani avevano nella vita quotidiana di Roma. Lungi dall’essere semplici guardiani, i cani nell’antica Roma svolgevano ruoli di ogni tipo, da quelli funzionali a quelli affettivi e simbolici.
I cani come protettori e guardiani
Dalle prime menzioni letterarie alle testimonianze archeologiche, è chiaro che la funzione protettiva del cane era una delle più apprezzate nella società romana. Questa percezione si ricollega a una tradizione che risale alla Grecia classica, dove il cane era già simbolo di vigilanza e lealtà. A Roma, questo animale fungeva da sentinella della casa o della villa rurale. Numerosi mosaici, come il famoso mosaico conservato nella domus pompeiana conosciuta come la Casa del poeta tragico, mostrano cani incatenati accanto alla scritta Cave canem.
I testi di scrittori come Varrone e Columella, entrambi interessati alle questioni agricole, descrivono l’uso di cani grandi e robusti per proteggere il bestiame e le proprietà rurali. Questi cani, oltre ad agire come deterrenti, venivano anche addestrati per affrontare intrusi e predatori, dimostrando un rapporto con gli esseri umani basato sia sull’utilità che sulla fiducia.
Compagni di caccia e prestigio
La caccia era un’altra attività in cui i cani dimostravano il loro valore e il loro stretto legame con i proprietari. Il poeta Gracio, nel suo trattato Cynegetica, elogia le razze provenienti dalla Britannia e dalla Gallia per la loro agilità e forza, il che suggerisce che già allora si praticava la selezione e l’allevamento specializzato.
Tra le razze più apprezzate c’erano i molossidi, di origine greca, apprezzati per la loro forza e tenacia, nonché cani leggeri destinati alla caccia. Questa diversità funzionale dimostra che, per i romani, il cane era diventato un compagno indispensabile nelle attività che richiedevano abilità, coordinazione e fedeltà.
Animali domestici e da compagnia
Sebbene il cane romano sia spesso associato alla guardia o alla caccia, le fonti rivelano anche una dimensione profondamente affettiva. Plinio il Vecchio, ad esempio, racconta la storia di un cane che, dopo l’esecuzione pubblica del suo padrone, rimase accanto al suo cadavere e cercò persino di gettarsi sul rogo funerario. Questo aneddoto, reale o immaginario che sia, illustra come la fedeltà canina fosse un valore ammirato.
Allo stesso modo, alcuni cani diventavano animali domestici coccolati, soprattutto tra le classi agiate dei contesti urbani. Sono state rinvenute commoventi epigrafi funerarie dedicate a cani defunti, in cui i proprietari dedicavano loro parole che potrebbero benissimo essere rivolte a un figlio o a un amico. In uno di essi, una donna descrive la sua cagnolina come “colei che non ha mai abbaiato senza motivo”.
Le iscrizioni funerarie e le statuette di piccoli cani da compagnia indicano anche che questi animali ricevevano cure e persino una sepoltura propria, una pratica che testimonia una significativa umanizzazione del legame con i loro proprietari.
Iconografia e simbolismo
La presenza del cane nell’arte romana è onnipresente e carica di significato. Appare in mosaici, sculture, rilievi e affreschi, con funzioni sia narrative che simboliche. In ambito funerario, è frequente vedere cani raffigurati accanto a bambini defunti, il che può essere interpretato come un simbolo di protezione nel passaggio verso l’aldilà.
Nella mitologia, il cane era legato a divinità come Diana (dea della caccia) e Ecate (divinità delle strade e dell’oscurità), il che rafforza il suo ruolo di guida e protettore. Allo stesso modo, nel regno degli inferi, il temibile Cerbero, guardiano dell’Ade, incarna l’aspetto più liminale dell’animale, a metà strada tra la vita e la morte.
Queste dualità – animale domestico e feroce difensore, amico fedele e messaggero dell’aldilà – riflettono la complessità del posto che il cane occupava nell’immaginario romano.
Malattia, abbandono e ambivalenze
Tuttavia, non era tutto venerazione. Le fonti riportano anche il lato oscuro della convivenza con i cani. Columella mette in guardia dai pericoli di malattie come la rabbia, e ci sono testi che menzionano la presenza di cani randii, spesso temuti e maltrattati.
Nelle città, il cane poteva essere sia simbolo di domesticità che di sporcizia e disordine. Questo carattere ambivalente è presente anche nel diritto romano, che prevedeva sanzioni nel caso in cui un cane causasse danni a terzi.
D’altra parte, l’alimentazione dei cani poteva variare in modo significativo a seconda della funzione loro attribuita. Mentre i cani d’élite potevano ricevere pane, latte o persino resti di carne, i cani da lavoro erano nutriti con avanzi o cibi duri, il che riflette una gerarchia sociale che si applicava anche al mondo animale.
Un legame millenario
Il rapporto tra i romani e i loro cani era senza dubbio profondo. Il cane poteva essere un feroce sentinella, un aiutante nella caccia, un fedele compagno o un essere liminale associato all’aldilà. Queste molteplici sfaccettature rivelano che il legame tra uomo e cane nell’antica Roma racchiudeva aspetti emotivi, simbolici e culturali di grande importanza.
Il famoso “Cave canem” che si può ancora leggere sui pavimenti di Pompei non era solo un avvertimento di un possibile morso. Era, forse, un invito a comprendere la complessità di un animale che ha accompagnato l’uomo nella sua vita, nella sua arte e persino nella sua morte.