Una nuova scoperta a 300 anni luce di distanza. Il telescopio spaziale James Webb (JWST) della NASA continua a regalarci scoperte sorprendenti, in questo caso un sistema planetario a soli 300 anni luce dalla Terra, conosciuto come YSES-1 b e YSES-1 c, che sarebbe composto da silicio. Inoltre, secondo gli scienziati, ha solo 16,7 milioni di anni, quindi è relativamente recente, consentendo di conoscere un po’ di più su come si sono formati i pianeti. La cosa più curiosa è che su di essi piove sabbia: “Osservare nuvole di silicato, che sono essenzialmente nuvole di sabbia, nelle atmosfere dei pianeti extrasolari è importante perché ci aiuta a comprendere meglio come funzionano i processi atmosferici e come si formano i pianeti, un argomento ancora dibattuto a causa della mancanza di consenso sui diversi modelli”, ha spiegato Valentina D’Orazi, membro del team dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), in un comunicato. “La scoperta di queste nuvole di sabbia, che rimangono nell’aria grazie a un ciclo di sublimazione e condensazione simile a quello dell’acqua sulla Terra, rivela complessi meccanismi di trasporto e formazione nell’atmosfera”, ha continuato. “Questo ci permette di migliorare i nostri modelli di processi climatici e chimici in ambienti molto diversi da quelli del sistema solare, ampliando così la nostra conoscenza di questi sistemi”, ha sottolineato.
Un sistema planetario mai visto prima
Si tratta infatti della prima osservazione diretta di nubi di silice nell’atmosfera di un esopianeta: “Studiando questi pianeti, possiamo comprendere meglio come si formano i pianeti in generale, un po’ come osservare il passato del nostro sistema solare”, ha aggiunto D’Orazi.
“I risultati supportano l’idea che la composizione delle nuvole nei giovani esopianeti e nei dischi circumplanetari svolga un ruolo cruciale nel determinare la composizione chimica dell’atmosfera”, ha affermato.
“Inoltre, questo studio sottolinea la necessità di modelli atmosferici dettagliati per interpretare i dati osservativi di alta qualità ottenuti con telescopi come il JWST”, ha affermato, in merito ai risultati pubblicati martedì scorso sulla rivista Nature.