Abbiamo un problema con la plastica. Gli scienziati giapponesi ne hanno creata una che si autodistrugge in mare

Secondo l’UNEP, l’inquinamento da plastica potrebbe triplicare entro il 2040, arrivando a 37 milioni di tonnellate metriche all’anno scaricate negli oceani. Più di una volta, in estate, ci siamo spaventati pensando che una plastica fosse in realtà una medusa. Ma non si tratta di una banalità, bensì di un problema più grande. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), ogni anno finiscono negli oceani più di undici milioni di tonnellate di plastica. Ma in Giappone si sta preparando una nuova ondata di cambiamenti, con plastiche che si decompongono. Secondo un comunicato stampa, un gruppo di ricercatori del Riken Center for Emergent Matter Science e dell’Università di Tokyo ha sviluppato una plastica in grado di degradarsi completamente in acqua salata in poche ore.

La dimostrazione

Il team ha dimostrato come un piccolo pezzo del nuovo materiale sia scomparso in un contenitore di acqua di mare dopo essere stato agitato per circa un’ora. Sebbene non siano ancora stati definiti piani di commercializzazione, il responsabile del progetto Takuzo Aida ha dichiarato alla Reuters che la ricerca ha suscitato grande interesse, anche da parte dell’industria dell’imballaggio.

Un problema profondo. L’urgenza di questo sviluppo si inserisce nel contesto di una crisi ambientale sempre più grave. Secondo l’UNEP, l’inquinamento da plastica potrebbe triplicare entro il 2040, arrivando a 37 milioni di tonnellate all’anno scaricate negli oceani. Per questo motivo la ricerca non ha voluto limitarsi alle plastiche visibili, ma anche alle microplastiche che si infiltrano in tutti gli ecosistemi del pianeta.

Come hanno spiegato gli scienziati, questo nuovo materiale è il risultato di oltre 30 anni di ricerca sui polimeri supramolecolari. A differenza delle plastiche tradizionali, che sono tenute insieme da legami covalenti molto forti, queste utilizzano legami più deboli e reversibili. Questo permette al materiale di mantenere la sua forza, ma di rompersi rapidamente nelle giuste condizioni.

Il punto. Per ottenere questo risultato, avevano bisogno di un “rubinetto” che si trovasse nel sale. Tecnicamente, hanno spiegato a Reuters che la combinazione di esametafostato di sodio (un additivo alimentare) e ioni guanidinio (usati nei fertilizzanti) formava ponti salini che davano stabilità al materiale. Tuttavia, quando viene immerso in acqua salata, questi ponti si rompono e, nel giro di poche ore, non rimane più traccia della plastica.

Il materiale risultante è resistente, incolore, ignifugo e non tossico. Può anche essere impermeabilizzato con un rivestimento idrofobico, senza perdere la sua capacità di decomporsi in caso di graffi o forature.

Ma ha i suoi limiti

Come ha spiegato il responsabile del progetto alla Reuters, quando si decompone, la plastica rilascia azoto e fosforo, elementi che possono essere riutilizzati da microrganismi o piante. Tuttavia, se questi elementi si accumulano in modo incontrollato, potrebbero alterare gli ecosistemi costieri, favorendo fenomeni come le fioriture algali.

Per evitare ciò, i ricercatori propongono un sistema di riciclo controllato negli impianti di trattamento dell’acqua di mare, che consentirebbe di recuperare i materiali e riutilizzarli in nuove plastiche supramolecolari.

Biodegradabile, ma è sufficiente? La novità della plastica giapponese contrasta con i limiti di altre cosiddette plastiche biodegradabili. Secondo i ricercatori, materiali come l’acido polilattico (PLA), sebbene si degradino sulla terraferma in condizioni industriali, persistono nell’oceano, dove non si decompongono e finiscono per formare microplastiche.

Le alternative più recenti, come alcune plastiche riciclabili sviluppate in Europa, offrono una maggiore durata e riciclabilità, ma devono ancora affrontare sfide simili: la lenta degradazione nell’ambiente marino e la necessità di sistemi di gestione specifici.

Un passo avanti. Quel momento potrebbe essere più vicino di quanto sembri. Nel frattempo, le meduse rimarranno meduse. Ma almeno la plastica che le imita potrebbe iniziare a scomparire.