Registrano le profondità dell’Antartide e ciò che trovano dovrebbe farci sentire in colpa

È la prima volta che i ricercatori riescono a registrare l’effetto di un’azione umana sul fondo dell’Oceano Antartico. I danni sono evidenti e ci vorranno decenni per ripristinare l’equilibrio. Il fondale marino dell’Antartide sta subendo alterazioni silenziose e preoccupanti. Ricercatori internazionali sono riusciti a registrare in video, per la prima volta, gli effetti dell’ancoraggio delle imbarcazioni sugli ecosistemi vergini dell’Oceano Antartico. Le immagini catturate mostrano tracce fisiche nei sedimenti e danni evidenti alle colonie marine che potrebbero richiedere decenni per rigenerarsi. Lo studio, condotto da Matthew Mulrennan, pubblicato su Frontiers in Conservation Science e sostenuto dall’organizzazione KOLOSSAL, documenta alterazioni significative in 36 località vicine alla penisola antartica e all’isola Georgia del Sud. Qui sono state osservate spugne vulcaniche schiacciate, solchi causati da catene di ancore e una notevole assenza di biomassa bentonica. A breve distanza, dove le ancore non hanno toccato il fondo, la vita marina rimane attiva. Questi organismi, tra cui spiccano le spugne giganti che possono raggiungere i 15.000 anni di vita, svolgono funzioni fondamentali nell’ecosistema: filtrano l’acqua, catturano il carbonio e offrono rifugio e cibo a numerose specie, come polpi antartici, stelle marine, pesci di fondo e ragni di mare. Il ritiro del ghiaccio marino ha aperto nuove rotte per la navigazione turistica, scientifica e la pesca. Sebbene l’Antartide abbia norme di protezione rigorose, l’ancoraggio non è soggetto a una regolamentazione efficace. Il team scientifico ha registrato almeno 195 imbarcazioni che operano in zone fino a 82,5 metri di profondità, anche se si ritiene che il numero reale sia ancora maggiore. Molte di esse hanno scopi turistici.

Una ripresa estremamente lenta

“I danni registrati sono stati un impatto quasi diretto su tre spugne vulcaniche giganti, forse gli animali più antichi del pianeta”, ha avvertito Mulrennan in un comunicato stampa. Inoltre, ha sottolineato che gli effetti delle ancore sono gravi quanto quelli causati dalla pesca a strascico, una minaccia già ampiamente riconosciuta per la sua capacità distruttiva sui fondali oceanici.

Da parte sua, la geofisica marina Sally Watson, dell’Istituto Nazionale per l’Acqua e la Ricerca Atmosferica della Nuova Zelanda, ha aggiunto che: “Gli impatti dell’ancoraggio sono sottovalutati e ci è voluto troppo tempo per documentarli, soprattutto quando si tratta di ecosistemi così fragili come questi”.

I ricercatori avvertono che gli organismi antartici hanno una crescita lenta e cicli vitali prolungati, il che rende difficile la loro rigenerazione. Nelle acque tropicali, i segni dell’ancoraggio possono persistere per un decennio; nelle regioni polari, gli effetti potrebbero durare molto più a lungo. In alcuni casi, i danni potrebbero essere praticamente irreversibili.

Le immagini subacquee, fornite dal team di ricerca, rivelano chiaramente la dicotomia tra i luoghi alterati dall’azione umana e quelli che conservano ancora la loro ricchezza naturale. Secondo le parole dell’autore principale, “l’ancoraggio è probabilmente il problema di conservazione marina più ignorato a livello globale: è fuori dalla vista, fuori dalla mente”.